FEERIA, 2017/2 – n. 52

Renzo Cresti – Carmelo Mezzasalma
IL VIAGGIO DEL SILENZIO
Eric Satie nell’interpretazione di Ilaria Baldaccini

 Una riflessione a due voci per conoscere più da vicino il grande ma ancora poco conosciuto compositore francese, autentico caso musicale dei primi del Novecento, nella rilettura esecutiva della giovane pianista lucchese.

 

Una personalissima idea della musica

Portava un giaccone di velluto, occhialini sopra occhi piccoli e vivi, una barba ben tenuta, e regolarmente, alle quattro del pomeriggio, andava a bere un Pernod au comptoir (in piedi) al bar all’angolo della sua povera casa parigina detta Les quattre cheminées. Come riuscisse a campare rimane un mistero, in quanto guadagnava solo da poche lezioni occasionali, eppure la sua personalità era ammirata da tutti gli artisti, gli impressionisti, i simbolisti, i dadaisti, i surrealisti, gli aderenti al nuovo classicismo e al concettualismo, tendenze diverse fra loro e sviluppatesi in vari momenti, ma tutte, in qualche modo, attratte dall’originale figura di Satie. La sua musica fu di esempio all’inizio del cosiddetto Gruppo dei Sei e i compositori della École d’Arcueil ne fecero un nume tutelare. Malgrado queste attestazioni di stima Satie rimase un ‘caso’, come disse Alfred Cortot nel 1938, e continua a rimanere un caso tutt’oggi, a dispetto delle molte esaltazioni che ne hanno fatto i maestri del Novecento, da Stravinskij a Cage, fino alla New Age e all’Ambient music.

Il percorso artistico di questo autore dall’idea di musica personalissima è assai variegato, nelle motivazioni, nelle finalità, nei generi e negli organici. In questo compact-disc ascoltiamo tre tipi di composizioni pianistiche che sono esemplificativi del suo modo di intendere la musica e di comporla: le Gymnopédies. Satie aveva iniziato a scrivere i suoi primi pezzi pianistici nel 1885, le Gymnopédies sono di tre anni successive; il nome si rifà all’antica festività della città di Sparta Γυμνοπαιδίαι, durante la quale aveva luogo la gimnopedia, la danza processionale di efebi, seguita da canti ed esercizi ginnici. Si tratta di tre brani autonomi inseriti in un’unica raccolta e impostati su una concezione del tempo sospesa, realizzata attraverso un’ambiguità armonica e una melodia sottile e aerea che la giovane pianista Ilaria Baldaccini realizza con la dovuta leggerezza (l’equivocità dell’armonia va resa con il senso dell’enigma; le prime battute della Gymnopédie n. 1, ad esempio, sono costruite su una progressione di due accordi di settima e questo deve dare un senso di enigmaticità; i procedimenti tecnici sono sempre ben relazionati dalla Baldaccini all’espressività).

Le Gnossiennes che ascoltiamo sono di una soavità straordinaria, eseguite con attenzione profonda verso il suono che la Baldaccini sa delicatamente porgere; furono composte fra il 1889 e il 1897; il titolo deriva da ‘gnosi’, ossia da un tipo di conoscenza sapienziale, una risposta che Satie voleva dare ai formalisti; anch’esse non si basano su un tempo vettoriale ma su una concezione del tempo interiore, il tempo della memoria, dei sogni e delle fantasie, un tempo diverso da quello dell’orologio, come insegna Bergson, un tempo librato come quello della preghiera. Già l’inizio è di una bellezza sonora sconvolgente; per eseguire questi brani occorre avere una sensibilità al suono non comune, pianisticamente un tocco che sappia animare le semplici frasi, far vibrare gli accordi, render vivi i colori pastello e le dinamiche sottili; bisogna essere bravi a far giungere all’ascolto questa apparente semplicità, in realtà una musica che richiede di essere assimilata quante altre mai, che non rivendica capacità virtuosistiche ma penetrazione della sfericità del suono, grazia nel tocco e partecipazione spirituale, proprio quello che comunica l’interpretazione della Baldaccini.

L’esilità della scrittura e la semplicità strutturale si riscontrano anche in Je te veux (1902). Si tratta di un walzer, sulla musica del quale Henry Pacory scrisse le parole, opportunamente inserito nel contesto fra i pezzi meditativi (anche il montaggio dei pezzi è stato ben studiato).

Quelle di Satie sono caratteristiche che ai formalisti di ogni tempo non convincono e che, invece, rappresentano lo spostamento dell’interesse dalla complessa tecnica del comporre note alla capacità spirituale di chiamare a sé i suoni; per questo il tempo si spazializza per diventare spazio interiore accogliente. La libertà formale, l’emancipazione della dissonanza, il sistema tonale de-funzionalizzato, la mancata indicazione di tempo e l’andamento libero, le dinamiche sottili, i colori morbidi, tutto questo non è basato su una concezione sperimentale di nuove tecniche, ma funzionale ad esprimere un flusso di coscienza. L’esecuzione più lenta rispetto a come questi brani si sentono di solito esalta la sospensione temporale, conferendo loro un andamento rituale; il trattamento del basso come un ostinato contribuisce al carattere quasi ipnotico, accentuato dalla regolarità del tempo; bene ha fatto la Baldaccini a ricordarsi  che Gnossienne e Gymnopedie sono danze processionali; apprezzabile anche il fatto che si sia cercato di uniformare il tempo tra le opere. Ottimo il fraseggio e la sensibilità al suono; senza queste doti i brani in programma non si affrontano con la dovuta profondità; la Baldaccini coglie il senso intimista e, al contempo, universale, del suono di questi brani, con un garbo tutto femminile e un tocco di languore. (R.C.)

 

Nel silenzio di Satie

Il “caso” di Erik Satie (1866-1925), nella storia musicale del primo Novecento, sembrerebbe, a prima vista, un caso anomalo e quasi enigmatico. A cominciare dal suo modo di vivere e di “pensare” la musica, quasi al limite di uno sprezzante rifiuto di ogni convenzionalismo e di un tenace autodilettantismo che lo porterà a rifiutare qualsiasi studio sistematico e metodico della musica, ivi compresa la composizione, con maestri riconosciuti e di sicura capacità formativa. Una personalità scomoda, a tratti fastidiosa e forse distruttiva, ma indubbiamente sensibilissima e dotata della capacità di arricchirsi di ogni esperienza in campo letterario, musicale e perfino religioso. In ogni caso Satie non è un improvvisatore o un avventuriero della musica. La sua formazione letteraria era esclusiva e sincera (Andersen, Flaubert), come anche il suo appassionato studio sulle partiture di Bach, Schumann, Chopin, mentre il suo talento sarà riconosciuto da Ravel e Debussy al punto che, per sua stessa ammissione, influenzerà molto il linguaggio musicale di Pelléas et Mélisande.

Satie amava molto il pianoforte, sebbene non fosse un buon pianista, e non sorprende che la sua produzione di composizioni pianistiche sia piuttosto vasta e articolata in diversi periodi rispondenti all’ispirazione del momento. In questa produzione spiccano, tuttavia, Les trois Gymnopédies, Les trois Gnossiennes, per il loro alone misterioso e trasparente, ma anche l’altrettanto celebre Valse, dalla scrittura elegante e dolcemente popolare. Non va neppure dimenticato, a proposito delle prime due, che Satie si era dedicato, tra l’altro, a uno studio assiduo del canto gregoriano. Di fatto, per il ritorno ostinato di melismi identici e per le curiose annotazioni enigmatiche di ritmo, dirette all’esecutore, queste partiture chiamano fortemente in causa l’intuizione, la sensibilità e l’intelligenza creativa dell’interprete. Credo, dunque, che Ilaria Baldaccini, nell’affrontare la musica pianistica di Satie, mostri davvero un’esperienza musicale consapevole di queste partiture con uno stile di esecuzione, anche originale e molto partecipe, tutto sospeso com’è tra ritmo, sonorità e una cantabilità sognante ed evocativa. È indubbio, in effetti, che soprattutto nelle Gymnopédies e nelle Gnossiennes, il silenzio giochi un ruolo essenziale, silenzio intorno alla musica e allo stesso tempo evocazione del silenzio fin dentro la “modalità” della leggerezza melodica. Un viaggio interiore di Satie, questo del silenzio, nel mistero inesauribile del pianoforte (C.M.)